Omaggio al grande Lucio
Vi spieghiamo perché Cascina Ovi dedica la serata di domani a Battisti.
«Tu chiamale, se vuoi, emozioni».
Abbiamo intitolato così la serata di domani a Cascina Ovi. Un verso e un titolo sufficienti di per sé, immediati quanto il nome e il cognome del loro autore: Lucio Battisti.
Perché una serata dedicata a Battisti? Perché Manu, Gimbo and Friends, amici storici della Cascina e grandi musicisti, ne interpretano i capolavori in maniera perfetta. Domani sera ne avremo una nuova, splendida dimostrazione.
Ma questa non è la sola ragione. C’è dell’altro. Lucio Battisti è uno dei non molti riassunti possibili di una certa epoca e di una nazione.
Avere 20 anni nel 1975, magari – ma non necessariamente – essere innamorati: anche solo esserci, vivere quell’Italia. Non c’è una sola emozione, di tutte quelle comprese nell’ampio spettro di queste coordinate, che Battisti, in sodalizio con Mogol, non abbia raccontato nella maniera più universale. Non diciamo necessariamente più raffinata (Francesco De Gregori?), non diciamo necessariamente più geniale (Fabrizio De Andrè? Lucio Dalla?): più universale.
A un livello artistico meno eccellente e con un ambito più circoscritto, si può dire qualcosa di simile – non sembri una bestemmia: non lo è – degli 883 con le grandi compagnie e la vita di provincia degli anni ’90: trovateci, vi sfidiamo, un ritratto più esatto della sonnacchiosa, prudente e asfittica vita di un piccolo centro del nord delle seguenti parole:
Ne parlavamo tanto tanti anni fa
di quanto è paranoica questa città
della sua gente, delle sue manie
due discoteche centosei farmacie.
In quattro versi, una generazione e un decennio.
Battisti compie la stessa operazione intellettuale (parola ambiziosa, ma esatta), a livello, ci permettiamo e lo ripetiamo, di almeno un ordine di grandezza superiore, comprendendo tre decenni di vita nazionale, senza distinzioni di latitudine e senza distinzioni di età.
Abbiamo tutti – esempio scelto quasi a caso tra gli infiniti possibili – un amico abile con i motori. Ecco quattro versi che lo descrivono perfettamente:
Quel gran genio del mio amico
con un cacciavite in mano fa miracoli:
ti regolerebbe il minimo
alzandolo un po’.
Battisti e Mogol conoscevano questo nostro amico? Evidentemente no, ma sono stati in grado di descriverlo. E – notate – hanno scritto una quartina di poesia straordinaria senza usare nemmeno una parola poetica.
C’è un filone di critica che sta, in qualche misura, rivalutando la commedia pecoreccia all’italiana a cavallo fra anni ’70 e ’80: pur in assenza di qualsiasi velleità e di qualsiasi qualità cinematografica, quelle pellicole rappresentano la fotografia di un’epoca. Hanno, cioè, valore di documenti.
Per Battisti può valere un discorso analogo, con la differenza che le sue canzoni – oltre a creare istantanee fedeli del nostro Paese – sono capolavori.
A questi capolavori faremo, domani sera a Cascina Ovi, il nostro doveroso omaggio.
Non mancate.