Il (nostro) ceviche: una tradizione millenaria rivisitata
Almeno quattro grafie possibili, ceviche, cebiche, seviche e sebiche, per quanto unica sia la pronuncia: [seˈβitʃe] secondo il sistema IPA. Una diffusione lungo tutto il Pacifico sudamericano, dal Messico al Cile. Origini etimologiche probabilmente quechua (“siwichi”); forse addirittura arabe (“sibesh”). Pochi altri piatti al mondo rappresentano bene quanto il ceviche il concetto di “crocevia di nazioni e di culture”.
Piatto di costa, piatto di mare. Sapore aspro ma delicato del lime (o dell’arancia, o del limone), che tutto conserva e tutto trasforma. Riduttivo chiamarlo antipasto, per quanto il ceviche, tecnicamente, lo sia. Infinite le varianti: ceviche misto, ceviche di conchiglia nera, ceviche di gamberetti o di polpo (piatti nazionali colombiani), ceviche ai funghi, ceviche de chochos, ceviche con testicoli di animale.
La tradizione, che dalla civiltà degli Inca arriva all’attuale Perù, resta però salda e piuttosto rigorosa: la ricetta base è di pesce o frutti di mare, crudi e marinati – si è detto – nel lime (o nell’acididulo “tumbo”, frutto amazzonico), la cipolla a guarnire, il peperoncino e il coriandolo, se aggrada, a insaporire il tutto. D’altra parte, “se non piangi con il ceviche non è un buon ceviche”, secondo un diffuso modo di dire.
Cascina Ovi ama le tradizioni: nella loro purezza, certo; ma ancora di più se l’una con l’altra incrociate, avvicinate e contaminate. Il nostro ceviche, di ombrina (pesce mediterraneo), ha un tocco di terra prezioso e sorprendente: il tartufo nero.
Venite a provarlo in via Olgia 11 a Segrate?