Sei curiosità della cucina sarda
La cucina sarda è l’esito di un forte legame con la tradizione; rappresenta l’espressione di abitudini che risalgono a tempi talvolta antichissimi, di un attaccamento peculiare, da parte degli abitanti dell’isola, alla propria terra e alle sue origini. In questo articolo, vi raccontiamo sei elementi curiosi di questa antichissima civiltà enogastronomica.
Fondamentale è ancora, in Sardegna, il settore primario, nel quale la pastorizia riveste un notevole rilievo. Uno dei tratti distintivi della cucina sarda è la sua straordinaria varietà. Ciascuna località della Sardegna è caratterizzata da piatti tipici, che si diversificano da un luogo all’altro per i sapori e gli ingredienti, oltre che per le modalità di consumo.
Pane carasau: un rituale collettivo
Non si può cominciare a parlare di Sardegna senza citare un elemento tipico e caratteristico, il pane carasau che, come moltissimi altri prodotti da forno, rappresenta l’idea di appartenenza a una comunità, di condivisione e reciproco scambio, che stanno alla base del ritualismo legato al pane “carasatu”, letteralmente tostato. Tecnicamente il pane carasau è composto di farina di semola di grano duro, acqua, sale e lievito. Apparentemente si tratterebbe di alimenti semplici, ma le fasi per preparare il pane carasau appaiono diversificate. Prima di tutto bisogna “cariare”, ovvero impastare; la pasta viene poi suddivisa in piccoli pezzi (urire), grandi come un pugno. Quindi occorre “tènnere”, vale a dire stendere la pasta in singole sfoglie che devono risultare eguali, sottili e rotonde. In seguito è necessario effettuare la prima cottura in forno. Si tratta del momento del còchere, che trasforma la sfoglia in un pallone gonfio, detto pane lento, che sarà poi necessario “carpire”, aprire lungo la sua circonferenza. Da ogni “pane lentu” si ottengono dei dischi che verranno “carasati” singolarmente. Si avrà, così, una “carta da musica” che in Sardegna viene accompagnata da qualunque cibo.
Nella tradizione sarda la preparazione di questo alimento era collettiva e ciascuna famiglia, a seconda del numero di membri di cui era composta, produceva decine di chili di pane carasau, coinvolgendo tutti i parenti, dai più piccoli ai più anziani. Questo processo era presieduto dalle cosiddette “sas cochitoras”, donne che impastavano il pane di mestiere, depositarie di memorie lontane e racconti.
Bottarga, le “uova di pesce salate” di origine fenicia il cui nome deriva dall’arabo
La bottarga è un alimento costituito dall’ovario del pesce, le cui uova sono salate e essiccate con procedimenti tradizionali. Per ottenere la bottarga si estrae la sacca ovarica del pesce femmina, sottoposta anzitutto a un processo di pulitura e di salatura e quindi pressata e stagionata per un periodo di almeno novanta giorni, durante il quale assume un colore oro-ambrato.
Il termine bottarga deriva dall’arabo “batarikh”, termine che designa le “uova di pesce salate”. Durante la loro irruzione nel mar Mediterraneo, gli arabi tramandarono sia agli spagnoli sia ai siciliani diversi nomi, anche se i padri di questo prodotto ittico sono stati un popolo di naviganti e commercianti di origine fenicia; la bottarga, infatti, è stata scoperta circa tremila anni fa. I fenici condivisero i segreti della salatura e dell’essiccatura delle uova di muggine proprio con le popolazioni sarde.
La bottarga di muggine o cefalo è tipica dello stagno di Cabras. In Sardegna è diffusa la tradizione di consumare la bottarga di muggine come antipasto o come condimento per la pasta, grattugiata come si fa con il formaggio. Sono in molti a consumare la bottarga tagliandola in fette sottilissime insaporite con un cucchiaio di olio di oliva e servite su pane carasau. L bottarga può arricchire piatti a base di pesce sia essere consumata da sola. Il suo prezzo varia dai 70 ai 300 euro al chilo e si trova in commercio sotto forma di sacche ovariche (dette baffe) o in vasetto.
Fregula con cocciula: un unicum della Sardegna
La fregula con le arselle o con cocciula rappresenta una ricetta sarda molto gustosa e particolare.
La fregola (o fregula) è una pasta di semola di grano duro, a forma di piccole palline, lavorata a mano, molto simile al cous cous e si presta a realizzare ottime ricette dal sapore di mare, ma anche minestre leggere e delicate. Questo tipo di pasta lo si fa solo in Sardegna. Si lavora in una grande ciotola chiamata “scivedda” in modo molto laborioso e il prodotto finito è costituito da piccole sfere di pasta, successivamente divise in base alla loro grandezza: piccole, medie e grandi.
Zuppa gallurese, la “zuppa nascosta” strato sotto strato
Spostandosi verso il Nord della Sardegna, in Gallura, è molto nota la zuppa gallurese, un piatto tipico a base di pane carasau. In una teglia viene posto il pane carasau, “bagnato con brodo di pecora”, ricoperto da sfilacci di carne. Chiamata anche “zuppa cauta”, zuppa nascosta, per indicare i vari strati dai quali è composta, questa zuppa ha origini che si perdono nella notte dei tempi, probabilmente risalenti al Medio Evo. Pochi e semplici ingredienti – pane, formaggio e brodo di pecora – per un sapore straordinario.
Malloreddus, ma quali conchiglie! La loro forma è quella di un vitellino
La forma ricorda ai profani quella di una conchiglia, anche se rappresenta, in realtà, un vitellino, il “malloreddus”, diminutivo di “malloru” che, in dialetto, significa toro. Si tratta di un simbolo di prosperità caro alla tradizione agropastorale del Campidanese, legato alla cultura e coltura del grano.
Due gli ingredienti che prevede la produzione dei malloreddus, il primo la semola di grano duro e acqua, un cestino di vimini chiamato “su ciuliri” e un paio di mani abili ad impastare. L’impasto è trascinato, arrotolato sulla superficie non uniforme del cestino e conferisce ai gnocchetti sardi la caratteristica forma scanalata capace di catturare molto bene il condimento.
Pecora… in cappotto
La pecora, più di tutti, rappresenta l’emblema della cucina e della cultura pastorale locale. La razza autoctona della pecora sarda costituisce una delle più antiche d’Europa e conta più di tre milioni di capi.
L’antica e misteriosa civiltà nuragica basava la propria sussistenza sulla pastorizia.
Fra i piatti più rappresentativi figurano la pecora in cappotto, stufato di carne e verdure tipico dell’Ogliastra, che consiste in pezzi di pecora bolliti e, in seguito, cucinati in brodo con cipolle e patate.
Proprio l’alimentazione della pecora, a base di erba secca, conferisce al piatto un aroma particolarissimo, che può essere ulteriormente valorizzato con rametti di timo e finocchietto selvatico.
Alcune di queste specialità, rivisitate e interpretate, sono servite a Cascina Ovi.