Intervista ad Aco Bocina: «Partiamo insieme per un viaggio nel Mediterraneo»
A tu per tu con il grande musicista che si esibirà sabato sera a Cascina Ovi: la sua musica, il suo pensiero, le sue passioni e la sua persona.
Aco, sei conosciuto in tutto il mondo come un virtuoso del mandolino e della chitarra. Come descriveresti il tuo percorso musicale e quali sono state le esperienze chiave che ti hanno formato come artista?
Torniamo indietro nel tempo, spostiamoci nello spazio: fine anni ’60, Spalato. Nella mia città natale era attiva una rinomata scuola di musica, particolarmente rigida e notoriamente severa. Io avevo 9 anni: ero grande abbastanza per prendere in mano una chitarra. Ho iniziato a suonare in quella scuola e non ho più smesso in quasi sessant’anni.
I miei primi esperimenti di composizione musicale risalgono a pochi anni dopo: ero quattordicenne.
L’interesse e l’amore per il mandolino sono arrivati in un terzo momento, verso i miei 17 anni. Anche questo secondo amore è stato in qualche modo influenzato dall’ambiente: il mandalino era – ed è tutt’ora – molto popolare a Spalato. Con il mandolino ho scoperto un mondo: un mondo vasto, curioso, ricco e meraviglioso. Questo “secondo” amore ha affiancato e forse superato il “primo”. Ho imparato a suonare il mandolino da autodidatta; a distanza di anni sono grato di avere avuto questa possibilità, la considero un dono di Dio. Questo strumento mi ha permesso di girare l’Europa, sia come primo mandolino in grandi orchestre sia come solista.
In che cosa trovi ispirazione nella vita quotidiana e come questa ispirazione si riflette nella tua musica?
La quotidianità diurna è, per tutti, fatta di routine, doveri, appuntamenti: la mia non fa eccezione. Potremmo dire che la vita di giorno non è niente di speciale: ecco perché l’ispirazione mi viene di notte. La notte, a ben pensarci, è prima di tutto silenzio: e quanto più risuona, nel silenzio, ogni singola nota! Quanto più profondamente si sente, nel silenzio, ogni singola emozione!
Hai suonato su palchi prestigiosi in tutto il mondo: che significato ha, questo, per te?
Ho suonato sui palchi più importanti d’Europa e del mondo, è vero. Ma questo – sorprenderò chi mi legge, forse – non ha di per sé un particolare significato. L’unica cosa che conta è il pubblico che mi ascolta. Le sole cose importanti sono le emozioni che sono in grado di donare alle persone. Alla fine, con l’applauso, ho la prova di aver fatto bene: provo sempre una grande gioia, quando accade.
Durante la tua carriera, hai incontrato moltissimi artisti e personalità. Qual è stata la collaborazione o l’incontro più sorprendente e perché?
Il primo nome che voglio fare è quello di Pierangelo Bertoli. Era il 1989, ero appena arrivato a Milano: ho avuto la fortuna di collaborare con lui in due brani del disco “Oracoli” (1990): “Acqua limpida” (canzone nella quale partecipa anche Grazia De Michele) e “Chiama piano” (canzone nella quale duetta Fabio Concato). Fu il maestro Lucio Fabbri, tramite la casa editrice Curci, a chiamarmi per farmi registrare in studio le parti di mandolino.
Un’altra collaborazione che vorrei ricordare è quella con il gruppo gitano rumeno Ciocarlia, graditissimi ospiti in cinque brani del mio disco.
Sono stato io, invece, a ricoprire il ruolo dell’ospite in un memorabile concerto, quello al Teatro delle Verdure di Palermo con la locale orchestra sinfonica, con gli irlandesi The Chieftains.
Desidero menzionare anche il grande musicista jazz Paolo Tomelleri, presente in due brani nel mio disco “Rumba tzigana” (Warner Bros.). Memorabile la sua improvvisazione nella seconda traccia “Hombres azules”.
Tutti questi artisti hanno un posto nel mio cuore.
C’è stato un momento in cui hai pensato di mollare tutto? Se sì, come hai trovato la forza di continuare?
Ho scelto la musica per amore: non ho mai pensato di abbandonarla. Mai, nemmeno una volta. Nemmeno per un secondo. Anzi, continuo a suonare per me, solo a casa, quando nessuno mi ascolta.
Suonare in un ristorante come Cascina Ovi è sicuramente diverso rispetto a un grande teatro o a un festival. Che cosa ti affascina di più di queste performance intime e a stretto contatto con il pubblico?
Forse sprprenderò qualcuno con questa risposta: per me suonare in un club, in un ristorante o in un grande teatro non fa alcuna differenza, così come non ne fa, ai miei occhi, suonare per quattro o per duemila persone. Ogni volta che salgo su un palco è come se fosse la prima volta: provo solo il desiderio di dare il meglio di me stesso e – così facendo – di onorare e rispettare coloro che sono venuti a sentirmi suonare. Tutto ciò che faccio lo faccio per loro.
Anzi, forse una piccola differenza c’è: il pubblico è, nei luoghi più raccolti, davvero vicinissimo a me. Un metro, poco più. Questo mi piace molto e mi dà un’ulteriore emozione.
Cosa ti aspetti dal pubblico di un ristorante rispetto a quello dei concerti? Pensi che l’ambiente gastronomico possa influenzare il modo in cui le persone vivono la tua musica?
Un’ulteriore variabile positiva è data, naturalmente, dal cibo: una cucina di alto livello come quella di Cascina Ovi è un ulteriore fattore di piacere. Amo profondamente queste serate nelle quali si uniscono cibo e musica: sono spontanee ed emozionanti.
Spesso si dice che la musica sia un linguaggio universale. In che modo riesci a comunicare con pubblici di culture e lingue diverse attraverso le tue note?
Se tutta la musica è un linguaggio universale, quella strumentale lo è ancora di più. Sono le dita a toccare gli strumenti, ma la scaturigine profonda della musica è sempre il cuore.
Quali sono le emozioni o i messaggi che cerchi di trasmettere attraverso la tua musica?
Ogni fruitore di musica vive le emozioni in maniera personale e unica: ma quando qualcuno mi dice «mi hai fatto venire la pelle d’oca» credo davvero di avere ricevuto il complimento migliore.
Quali sono le caratteristiche che trasformano un brano riuscito in un capolavoro?
Nella consapevolezza che sarebbe un discorso lunghissimo, mi sento di dire questo: ognuno sente con certezza, nel proprio intimo, se un certo pezzo è un capolavoro. Inoltre, solo i grandi e veri capolavori superano il giudizio del più severo dei critici: il tempo.
C’è una lezione particolare che hai imparato dalla musica e che ti piacerebbe condividere con chi sogna di seguire una carriera musicale?
La musica, lo spazio e la serie dei numeri hanno una cosa in comune: non hanno una fine. C’è solo un consiglio per chi desidera avventurarsi lungo questa strada senza confini: amarla, amarla, amarla. I risultati, a quel punto, verranno da sé. Questa è la differenza tra arte e show business.
C’è un messaggio che vorresti lasciare al pubblico che verrà ad ascoltarti a Cascina Ovi?
Sono molto orgoglioso di suonare in Cascina e darò il meglio di me stesso. Partiremo insieme per un viaggio mediterraneo che ricorderemo a lungo.