Non chiamatela Befana… buona Pasca nuntza da Cascina Ovi!
Non chiamatela “Befana”. In Sardegna, fino a pochi decenni fa, nessuno la chiamava così. E ancora oggi, tra le feste a cavallo dell’anno che muore e l’anno che nasce, l’Epifania è forse la meno sentita. Ma c’è tanto altro da dire e da sapere…
Se – la Carta de Logu lo conferma in maniera inequivocabile – già nel Medioevo il 6 gennaio era giorno festivo, l’identificazione dell’Epifania con la Befana, comune al resto d’Italia, è nell’isola fatto recente, nuovo. Più di quanto non si pensi.
Ed è un fatto mai del tutto compiuto: gli isolani, non solo a Stampace teste calde e dure, restano nel loro intimo, verrebbe da dire nel loro inconscio, legati a un tempo che fu e che, per tanti versi, è ancora.
L’attesa della “Vecchia” che fa battere i cuori dei bimbi del continente, di Roma soprattutto, suscita da Santa Teresa di Gallura a Chia, da Oristano ad Arbatax meno trasporto, e al nome “Befana” si accostano o sostituiscono gli epiteti “sa femmina eccia” o “sa baccucca eccia”
Dietro la modernità, non scompare la tradizione. La Sardegna è questo.
Citiamo ancora la “Carta de Logu” nella versione di Eleonora d’Arborea:
Sa pasca de sa epiphania si clamat pasca nuntza.
“Pasca” significa “festa”; “nuntza” allude all’annuncio che “i tre re” (ma i magi erano davvero tre? Ed erano davvero re?) diedero al mondo circa l’avvenuta nascita di Gesù. Il 6 gennaio era consuetudine annunciare in chiesa le date delle festività non vincolate a un giorno preciso. Tra queste, naturalmente, “Sa Pasca Manna””, la Pasqua appunto, la festa cristiana più importante in Sardegna.
E “sa pasca nuntza”, esattamente come “sa Pasca Manna”, cominciò ad assumere valore e significato peculiari con l’importazione di alcune tradizioni catalane. Tra queste la “fiesta de los tres Reyes Magos” assai sentita in Spagna.
Il riferimento a “sa Pasca de is tres Reis” – o “Pasca de is tres Gurreis”, o “Pasca de is tres Urreis”, o “Pasca de sos tres Rese” – resta infatti nella lingua dei sardi. E nei loro cuori.